Pier Mannuccio Mannucci

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1961. Socio fondatore e componente del Direttivo di Amista.  
Professore Emerito di Medicina Interna nell’Università degli Studi di Milano.
Già Direttore Scientifico della Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Quando e in che disciplina ti sei laureato? Qual è stato poi il tuo percorso di formazione?

Mi sono laureato il 3 Luglio 1961 in Medicina e Chirurgia, con una tesi sul globulo rosso di cui era relatore il Professor Luigi Villa, il grande clinico medico di Milano di quel periodo. Subito dopo la laurea, nel 1964 sono diventato assistente volontario nella Patologia Medica dell’Università di Cagliari, diretta dal Professor Nicola Dioguardi. Ritornato a Milano nel 1967, ho poi proseguito la mia carriera sempre nell’ambito dell’Università Statale di Milano, diventando professore ordinario di Medicina Interna nel 1985 fino alla quiescenza nel 2010. Ho passato parecchi periodi all’estero come giovane ricercatore, soprattutto a Londra e Oxford, e più recentemente come visiting professor a Boston e Parigi. Ho concluso la mia carriera come Direttore Scientifico dell’Ospedale Maggiore Policlinico.

Che ricordi hai del periodo in cui studiavi alla Statale?

Ricordo la grande signorilità e le grandi capacità didattiche e cliniche del Professor Villa. Fra gli altri docenti di Medicina mi aveva particolarmente affascinato Cazzullo, che iniziò negli anni ’60 la cattedra di Psichiatria. Mi ha strappato alla psichiatria il Professor Dioguardi: di cui voglio ricordare non solo le grandi intuizioni scientifiche, ma anche e soprattutto una grande capacità di estrarre e valorizzare il meglio dai suoi allievi: un vero rabdomante! Ho vissuto già grandicello, al ritorno da Cagliari, il periodo della contestazione studentesca: e ho visto che tanti contestatori di allora, ritornati nei ranghi, sono diventati più realisti del re!

Di cosa ti occupi oggi?

Dopo la quiescenza ho ricoperto il ruolo di Direttore Scientifico dell’Ospedale dove sono nato (letteralmente) e dove si è svolta quasi tutta la mia parabola professionale, salvo la parentesi assai stimolante di Cagliari e dell’Inghilterra. Mi occupo del Gruppo 2003 dei ricercatori Italiani più citati nel mondo per le loro pubblicazioni, che ho fondato appunto nel 2003 e di cui sono stato il primo Presidente. Sono soprattutto impegnato a preparare le molte relazioni scientifiche che mi si chiede di fare in Italia e all’estero, pubblico ancora una ventina di lavori scientifici all’anno e sono direttore di un grande giornale Europeo di Medicina Interna. Oltre che di malattie del sangue, mi occupo attualmente del problema delle malattie multiple dell’anziano, per cercare di migliorare la scarsa appropriatezza dei molti farmaci che essi assumono, in collaborazione con Silvio Garattini e i suoi all’Istituto Mario Negri. Nonché delle conseguenze sulla salute dell’inquinamento dell’aria, anche come divulgatore attraverso i libri “Aria da Morire” e “Cambiamo Aria!”, di cui sono autore con Margherita Fronte.

Che suggerimenti ti senti di dare a chi si laurea nella tua disciplina, oggi? Quale il segreto per eccellere nel campo della ricerca in ambito medico?

Innanzitutto dico che se tornassi indietro farei ancora il medico e ancora il ricercatore. Non è facile, ma non era facile neppure allora! Sono contento di vedere che la laurea di Medicina ha tuttora un grande “appeal”, come si evince dalle legioni di giovani che partecipano annualmente alla selezione nazionale. Molti studenti di medicina non sono contenti di dover magari frequentare una sede diversa da quella dove risiedono: in realtà è un vantaggio, in termini di loro apertura mentale e di sano distacco dalla famiglia! Per eccellere nella ricerca scientifica, bisogna prima di tutto essere veramente curiosi e quindi ad essa interessati: naturalmente e giustamente, non tutti i medici devono occuparsi di ricerca scientifica! Per il resto, bisogna soprattutto sgobbare: io sono convinto di avere ottenuto tutto ciò che le mie doti naturali mi offrivano lavorando molto, allora e ora.   Nella mia carriera ho usato come motto ciò che dice il grande poeta Inglese Henry Wadsworth Longfellow: “The heights reached and kept were not attained by sudden flight, but by toiling upward in the night they while their companions slept”.

Quali attitudini deve avere un giovane laureato che si avvicina alla tua professione?

Come detto al punto precedente, non ci vogliono doti particolari per fare il medico, se non spirito di sacrificio e soprattutto empatia. Per fare il ricercatore, bisogna essere  continuamente curiosi ed essere coscienti che non si diventerà ricchi (ma ciò vale anche per il medico che non fa ricerca). Inutile dire che bisogna avere una mentalità ben lontana da quella del chirurgo ortopedico che (vedi cronaca recente) speculava sui suoi assistiti!

Come si presenta la medicina oggi, rispetto a quando hai iniziato la tua professione? Quali sono le nuove frontiere?

So di sorprendere, ma penso che la situazione di oggi sia migliore di quella degli anni ’60. Gli allievi delle scuole di specializzazione sono remunerati e l’esame è nazionale e obiettivo, nei limiti di tutti gli esami. Quindi si può avere un discreto stipendio già a 25 anni, mentre il mio primo è stato a 30 anni. Inutile poi dire che la medicina ha fatto e continua a fare grandi progressi: basta pensare che l’aspettativa di vita degli Italiani è ora superiore a 80 anni, sia per gli uomini che per le donne: anche se non sono sicuro che l’insegnamento nelle Scuole di Medicina sia stato opportunamente adattato al grande problema dell’invecchiamento della popolazione. In realtà i medici Italiani hanno un grande credito, sono molti ricercati anche all’estero e figurano sempre tra i migliori, nella clinica come nella ricerca. Su tutto ciò si basa il mio ottimismo della ragione: anche se temo che molti che mi leggeranno non saranno d’accordo con me! Dall’Università Statale di Milano ho avuto molto, ora sono pronto a dare!